Man...il viaggio

la costruzione di un sogno.... diario di un viaggio sperato sull'isola dei gatti senza coda, in sella alle nostre motorette inglesi

martedì 15 marzo 2011

un libro che può cambiare la vita...

Un mattino di giugno del 1977 superai i monti Giura ed entrai in Francia. La Triumph aveva smesso di protestare e correva libera. Tutta la mia attrezzatura era in perfetto ordine.
Stavo sul sellino con la stessa disinvoltura con cui gli altri si accomodano su una poltrona, e ormai riuscivo a mantenere comodamente quella posizione per dodici ore o più. Ero molto dimagrito, pesavo quasi quattordici chili di meno rispetto alla partenza.
Erano passati quatto anni.
Il mio organismo, però, funzionava meglio che mai, tranne l'occhio destro: era diventato meno efficiente dopo l'incidente a Penang. Continuavo a fumare sigarette, e continuavo a desiderare di smettere.
Sulla moto avevo caricato di tutto: riso dell'Iran, uva passa e more essicate dell'Afghanistan, tè dell'Assam, spezie per il curry di Calcutta, halvà turchi, e un po' di salsa di soia di Penang.
In una bottiglia di polietilene con il tapop che si avvitava comprata in un negozio a Kathmandu c'era il resto dell'olio di semi di sesamo che avevo comprato a Boddhgaya. Il riso e l'uva passa erano in scatole di plastica del guatemala. Avevo acquistato una teiera alle Victoria Falls, e i piatti smaltati erano "made in China" e li avevo ereditati da Bruno. Una scatola di foglie di hennè del Sudan, una fiala di acqua di rose di Peshawar e alcuni ornamenti d'argento di Ootacamund erano tutti infilati in una ciotola birmana laccata, che a sua volta era nel samovar russo di Kabul.
Le borse di pelle e la copertura del sellino erano argentini. La tenda e il sacco a pelo erano ancora quelli di Londra ma avevo fatto fare una nuova imbottitura al sacco a pelo a San Francisco. Possedevo una coperta del Perà e un'amaca del Brasile. Portavo ancora la collana d'argento di Lulù e un braccialetto fatto con i peli di elefante del Kenia. La canna da pesca australiana aveva occupato il posto della spada del Cairo, e un ombrello tailandese sostituiva quello che avevo perso in Argentina. Più prezioso di tutti era sicuramente un tappeto kashmiro, anche se era difficle stabilire a cosa tenessi di più.
Attraversai Lione e mi tenni lontano dall'autostrada, attraverso il Rodano a Saint-Esprit e dirigendomi verso Nimes. Continuavo a visionare mentalmente quello spezzone di film: il viale, i platani, il sole che baluginava tra i tronchi e le foglie. Entro poche ore, entro pochi minuti il film si sarebbe confuso con la realtà. Avrei risalito quel viale e, con quel singolo gesto, avrei suggellato per sempre i quattro anni più ricchi della mia vita.

Ted Simon, I viaggi di Jupiter, 1978

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